Incontriamo la figura di  Don Bosco che ha dedicato la vita ai giovani più "scalcagnati" lasciando in eredità il luogo educativo per eccellenza, l'ORATORIO!

Quando ancora oggi un educatore o un giovane animatore hanno l’opportunità di conoscere la figura di don Bosco, non possono che essere d’accordo nel definirlo come “amico dei giovani”. proprio così lo definì Giovanni Paolo II nella Lettera Iuvenum Patris, scritta in occasione del Centenario della morte del santo torinese.
Anche papa Francesco ricorda che “tratto caratteristico della pedagogia di Don Bosco è l’amorevolezza, da intendersi come amore manifestato e percepito, nel quale si rivelano la simpatia, l’affetto, la comprensione e la partecipazione alla vita dell‘altro” (Lettera nel bicentenario della nascita di san Giovanni Bosco).
L’amicizia che si manifesta con mille sfumature riassunte con linguaggio ottocentesco con la parola “amorevolezza”, è dunque per Don Bosco qualcosa di fondamentale e di irrinunciabile. Potremmo dire che chi non è capace di amicizia non può educare; ma anche che chi non riflette e non “lavora” sul proprio modo di essere amico, non può intessere legami umani che abbiano lo scopo di “liberare” la vita delle persone.
Ed ecco allora la sfida fondamentale che Don Bosco ci può aiutare ad affrontare: come creare “legami” con i giovani e nello stesso tempo educarli alla “libertà”? Come non strumentalizzare e dunque l’amicizia e, in fondo, anche le persone (i giovani in particolare)?

Che cosa pensava Don Bosco dell’amicizia?

Sono molte le indicazioni che si possono trarre dai suoi scritti e dalle testimonianze dei giovani e dei collaboratori che lo hanno conosciuto.
Le pagine che seguono sono tratte - per semplici punti - da un contributo di carattere “storico” che il salesiano Rodolfo Bogotto ha redatto proprio allo scopo di ricostruire con metodo e precisione una delle chiavi educative fondamentale del santo torinese.
Ripercorrendo le diverse fasi della vita di Don Bosco, vengono fatti emergere alcuni aspetti del tema “amicizia” su cui Don Bosco ha riflettuto e che ha proposto ai suoi ragazzi e ai suoi collaboratori. Ci si potrà rendere conto

  • di quanto e come il giovane Giovanni Bosco abbia messo a frutto le sue naturali capacità empatiche (come diremmo oggi);
  • di come abbia operato per non subire l’influenza dei compagni “cattivi” ma, al contrario, per diventare lui stesso un leader positivo, credibile e ricco di creatività;
  • e, ancora, di quali siano stati i suoi amici e da che cosa erano caratterizzate le sue amicizie;
  • infine, di come il suo essere “amico” sia una condizione essenziale del suo essere “educatore”.

Per molti ragazzi che non avevano famiglia Don Bosco fu innanzitutto un padre, un papà, potremmo dire. E come tale si fece carico di ogni aspetto della loro vita: diede loro una casa vera e propria, curò la loro istruzione, pensò al loro divertimento, ebbe a cuore le “competenze” di ciascuno, si fece in quattro per dare loro una professionalità e un lavoro.
Per gli stessi ragazzi ma soprattutto per i suoi collaboratori fu un “maestro”. La sua sapienza pedagogica lo ha reso una delle figure di riferimento mondiali in ambito educativo. Ed è poi un maestro che indica “il” Maestro per eccellenza il Gesù di Nazaret, maestro di umanità e di compassione.
Don Bosco fu “amico” dei proprio con tutte e per tutte queste sue caratteristiche. Ma è proprio per queste sue qualità che ancora oggi egli “è” amico dei giovani.
I giovani si sentono presi sul serio da un uomo come Don Bosco: egli crede in loro, dà loro fiducia, ride con loro, fatica con loro… per loro dà la vita! Don Bosco incontra i giovani a viso aperto; li tratta da amici. Con i giovani cammina; li conosce profondamente e non teme di farsi conoscere… Con loro... costruisce il futuro invitandoli a maturare scelte che generino amicizie vere, relazioni corrette, il “bene” per tutti.
Ecco dunque alcuni brani del testo “Don Bosco, fedele amico dei giovani”, curato da don Rodolfo Bogotto. Si propongono qui soltanto alcuni paragrafi, raccolti per punti, che fanno intravedere le qualità umane e spirituali di Don Bosco, oltre che la ricchezza della sua visione pedagogica. Il contributo completo del lavoro è reperibile nel sito web www.oragiovane.it.

  • Nel momento in cui usa la parola amico, Don Bosco dichiara di voler essere molte cose:
    • persona che ha fiducia e stima nei confronti del proprio interlocutore, a prescindere dell’età, classe di appartenenza, storia personale;
    • educatore disponibile a farsi carico delle sofferenze e dei bisogni dell’educando;
    • figura di riferimento e àncora di salvezza, accessibile in qualsiasi momento;
    • promotore e facilitatore del bene del singolo;
    • e tanto altro ancora.
  • [Fin da ragazzo] fa “una scelta di amici” tra quanti si raccolgono attorno a lui. Nasce la Società dell’Allegria, gruppo informale, il cui nome scaturisce dal fatto che “era obbligo stretto a ciascuno di cercare que’ libri, introdurre que’ discorsi e trastulli che avessero potuto contribuire a stare allegri”. Nelle sere della bella stagione una ventina lo attende presso un piccolo ponte per conversare ed ascoltare “cose sempre nuove, varie, edificanti”. Alla domenica e nei giorni di vacanza li intrattiene con giochi di prestigio o passeggiate.
  • Il soggiorno a Chieri è pure il tempo in cui sorgono e si irrobustiscono le amicizie di Giovanni, che durano per tutta la vita. Possiamo proporre alcuni esempi.
    • Singolare è l’amicizia che contrae con Giona, pseudonimo di Giacobbe Levi (1816-1870), un giovane ebreo, che conosce dal libraio da cui Bosco si fornisce regolarmente di libri (i classici italiani o latini) da leggere di notte. [...]
    • Stringe profonda amicizia con tre che considera “un tesoro”: Garigliano Guglielmo (1819-1902), Giacomelli Giovanni (1820-1901) e Comollo Luigi (1817-1839).
    • Il periodo degli studi è pure il tempo in cui intesse profondi rapporti di amicizia con alcuni educatori. Il primo è don Giovanni Calosso (1760-1830), a cui il preadolescente Giovanni si affida [...]: “Conobbi allora che voglia dire avere una guida stabile, di un fedele amico dell’anima [...]. Da quell’epoca ho cominciato a gustare che cosa sia vita spirituale”.
  • L’esperienza traumatica della perdita del padre, narrata alla prima pagina delle Memorie, segna l’inizio di un percorso che fa acquisire a don Bosco una sensibilità speciale nei confronti di quanti hanno la disgrazia di essere privi di padre e lo conduce verso quel tipo di paternità che renderà inconfondibile il suo metodo pastorale ed educativo. Nelle pagine immediatamente successive egli racconta il sogno dei nove anni, con il quale puntualizza i cardini della figura di pastore-educatore che si è sempre sforzato di essere e i fondamenti della sua missione.
  • Mentre frequenta il Convitto ecclesiastico, un’istituzione di Torino per il perfezionamento della formazione sacerdotale, impatta con i giovani in carcere. Rimane commosso e turbato; riflette sul problema e sulle possibili soluzioni: “mi accorsi come parecchi erano ricondotti in quel sito perché abbandonati a se stessi. «Chi sa, diceva tra me, se questi giovanetti avessero fuori un amico, che si prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella religione nei giorni festivi, chi sa che non possano tenersi lontani dalla rovina o almeno diminuire il numero di coloro, che ritornano in carcere?»”.
  • Con ciascuno allaccia un rapporto educativo, allo scopo di prospettargli un itinerario di formazione ad un tempo spirituale ed umano, il cui traguardo è la salvezza eterna. Non esita con chiunque proporsi come “amico dell’anima”, guida e protettore del bene più prezioso che la persona possieda, e di chiedere di poter diventare suo “amico”.
  • Dopo una giornata trascorsa all’Oratorio, i ragazzi, prima di allontanarsi si raccolgono attorno a don Bosco, o a qualcuno dei suoi collaboratori, per la preghiera serale e la cosiddetta “buonanotte”, un breve discorso, tramite il quale l’oratore di turno commenta un evento, porge una riflessione religioso-morale, dà degli avvisi, avanza qualche suggerimento, propone qualche impegno. [...] si preoccupa di sottoporre agli uditori modelli di comportamento, fornire obiettivi di crescita e indicazioni per migliorare il proprio carattere.

Don Bosco vuole giovani che siano gioiosamente impegnati in tutto ciò che di buono e di bello offre la vita, individualmente e socialmente vissuta. Propone a tutti l’impegno della carità in tutte le sue gradazioni, spicciola, quotidiana ed eroica. “Una cosa mi premi di raccomandarvi ed è che procuriate di amarvi a vicenda e che non disprezziate nessuno. Perciò accogliete tutti senza eccezione in vostra compagnia e fate a tutti parte volentieri dei vostri trastulli”.